Nel 1933, l’architetto e designer finlandese Hugo Alvar Henrik Aalto completò il Paimio Sanatorium, una struttura per il trattamento della tubercolosi. L’edificio ha forme rigidamente geometriche, con lunghe pareti costituite da ampie finestre che ne avvolgono la facciata, stanze di colore chiaro e un’ampia terrazza sul tetto: tutti i tratti distintivi di quella che oggi conosciamo come architettura modernista, emersa nel gli anni venti dal lavoro del Bauhaus, in Germania, e di Le Corbusier, in Francia.
Le scelte di materiali e design compiute da Aaltos non erano solo esteticamente alla moda: “Lo scopo principale dell’edificio è quello di funzionare come uno strumento medico“, ha spiegato Aaltos. La tubercolosi era uno dei problemi di salute più pressanti dell’inizio del XX secolo ed ogni elemento dell’edificio era stato concepito per favorire la guarigione dalla malattia. La grande quantità di luce del giorno che entra da finestre e terrazze, dove i pazienti potevano dormire, faceva parte del trattamento, poiché il sole si era dimostrato efficace nell’uccidere batteri della tubercolosi. Al sanatorio, l’architettura stessa faceva parte della cura.
Gran parte dell’architettura modernista può essere intesa come una conseguenza della paura della malattia, del desiderio di sradicare stanze buie e angoli polverosi dove si annidano i batteri: Le Corbusier ha sollevato le sue case dal terreno umido per evitare contaminazioni, Villa Müller di Adolf Loos a Praga, costruita nel 1930, comprendeva uno spazio separato in cui mettere in quarantena i bambini malati.
Gli architetti hanno collaborato con medici progressisti per costruire altri sanatori in tutta Europa; per quanto l’estetica dell’architettura modernista fosse sembrata estrema all’inizio del XX secolo, le persone potevano almeno essere rassicurate sul fatto che fosse sicura.
Il futuro della progettazione post Covid
Negli ultimi mesi siamo arrivati a un nuovo punto di congiunzione tra malattia e architettura, dove la paura della contaminazione ha assunto di nuovo il controllo sulla tipologia e qualità degli spazi in cui gli individui vogliono trovarsi. Come la tubercolosi ha plasmato il modernismo, così l’epidemia Covid-19 e l’esperienza collettiva di restare forzatamente in casa per diversi mesi, sicuramente influenzerà il prossimo futuro dell’architettura.
A differenza del vuoto arioso e incontaminato del modernismo, lo spazio necessario per la quarantena è principalmente difensivo, con linee e confini marcati in modo preciso e pareti in plexiglass che segmentano il mondo esterno in zone di sicurezza e che rispettino il distanziamento sociale. Negozi e uffici dovranno essere riprogettati per poter riprendere a funzionare e le nostre abitudini in merito agli spazi cambieranno radicalmente.
Il Covid-19 richiede un design profilattico. Mascherine e guanti avvolgono i nostri corpi come una seconda pelle così i segnaposti, distanziati di un metro e mezzo l’uno dall’altro, assicurano di non contaminare gli altri mentre siamo in fila al supermercato. Gli spazi vuoti saranno quindi predominanti e onnipresenti nella nuova architettura post Covid mente materiali come plexiglass e vetro verranno riplasmati al fine di creare compartimenti isolati e isolanti all’interno di uffici e luoghi pubblici.
Il futuro delle città e degli spazi pubblici
Proprio come siamo diventati consapevoli di ogni minimo difetto nelle nostre case, stiamo anche affrontando i limiti dello spazio pubblico. Le strade sono vuote, ma i marciapiedi possono essere affollati di persone, infrastrutture come parchi, piscine, spiagge e campi da gioco – tutte le strutture che rendono sopportabile la vita nelle grandi città – sono chiuse o provocano paranoia e la tentazione di visitarle è bilanciata dalla minaccia di esposizione al virus.
Finora, l’impatto della pandemia sull’urbanistica si è manifestato in piccoli cambiamenti che possono essere implementati più velocemente di un nuovo piano di costruzione: Vilnius, in Lituania, ha chiuso al traffico alcune strade per poter consentire a bar e ristoranti di mettere i tavoli per strada, New York City ha creato quaranta miglia di strade esclusivamente pedonali per espandere l’accesso all’aria aperta anche lontano dai parchi. Londra sta allestendo una vasta rete di nuove piste ciclabili.
Il futuro delle città si baserà sulla densità. Nel 1850 Georges-Eugène Haussmann iniziò il rifacimento di Parigi demolendo gli affollati quartieri medievali, considerati pestilenziali, a favore di ampi viali e grandi piani urbani con parchi geometrici e piazze pubbliche. Negli ultimi decenni invece, l’urbanistica si è concentrata sull’annullamento di questo modello, coltivando la densità organica attraverso alloggi a prezzi accessibili, monolocali a capsule sempre più piccole. Ora, ancora una volta come risposta alla malattia, Armborst ha dichiarato: “Siamo in una situazione in cui la densità è qualcosa da evitare”. La sfida consiste nel conciliare la necessità di un piano architettonico a lungo termine con l’imprevedibilità della pandemia in corso.
Fonte: The New Yorker
Illustrazione di copertina di 06Emma Roulette