Siamo nel periodo tra il XIX e il XX secolo quando comincia a svilupparsi la progettazione coordinata degli spazi interni degli uffici come progettazione più consapevole degli ambienti di lavoro.
La storia racconta che i primi uffici risalgono ai tempi dell’antica Roma ed erano spazi utilizzati per lo svolgimento di lavori pubblici ufficiali come la riscossione delle tasse. I primi uffici, per come possiamo concepirli oggi, si trovano verso il XVIII secolo mentre il primo palazzo ad essere riconosciuto come edificio dedicato al lavoro è il Palazzo dell’Ammiraglio, costruito nel 1726 a Londra, e utilizzato dalla Royal Navy per la gestione di documentazione e archivi. All’interno del Palazzo dell’Ammiraglio sono presenti anche sale riunioni e la celebre Sala del Consiglio dell’Ammiragliato, utilizzata ancora oggi.
Nella metà del XIX secolo si arriva ad una concezione degli spazi destinati al lavoro che prende in considerazione principalmente la funzionalità a discapito di stile ed estetica; gli spazi infatti si fanno razionali e asettici e trattengono l’impostazione fordista della catena di montaggio a cui si deve la suddivisione degli spazi a seconda della settorializzazione dei vari dipartimenti.
La nascita del Contract
L’esigenza di accogliere un sempre maggior numero di persone e compartimentalizzare ancor di più gli spazi, creando una chiara divisione tra i dipendenti e l’amministrazione, spinge la progettazione degli spazi interni verso l’idea di Contract che conosciamo oggi.
Nel XX secolo emergono alcuni elementi chiavi imprescindibili nella progettazione coordinata degli spazi interni (Contract); tali elementi saranno i perni attorno ai quali ruoterà la progettazione degli ambienti di lavoro per tutto il ventesimo secolo.
Il primo di questi elementi è sicuramente la distinzione tra le postazioni operative e gli uffici di amministrazione e dirigenza creando così una notevole separazione tra le attività di produzione e quelle amministrative.
La nascita degli Open Space
Per seguire questo elemento cardine della progettazione nascono i primi uffici open space: siamo all’inizio del ventesimo secolo quando Frank Taylor dà origine al Taylorismo, ovvero alla concezione degli spazi per la massimizzazione dell’efficienza e della produttività.
In questa fase l’elemento umano non è affatto preso in considerazione durante la fase progettuale e nascono così spazi funzionali soprattutto al controllo dei dipendenti e del livello della produttività del singolo. Le scrivanie all’interno di questi open space venivano disposte secondo sistemi standard e affiancate simmetricamente così che i lavoratori sedessero fianco a fianco consentendo ai supervisori di osservare i dipendenti fila dopo fila.
I primi accenni di cambiamento che portano la progettazione a considerare anche l’aspetto umano si hanno grazie a Frank Lloyd Wright che ripensa gli spazi del Larkin Administration Building: l’edificio abbraccia i principi del Taylorismo ma presta maggiore attenzione all’esperienza dell’impiegato cambiando così l’illuminazione affinché fosse il più naturale e piacevole possibile e rivestendo i soffitti per migliorare il benessere acustico.
Ci vollero altri vent’anni perché il concetto di open space evolvesse nuovamente grazie ad un nuovo concetto di design conosciuto come Burolandschaft che poneva l’attenzione su una maggiore collaborazione tra i dipendenti, ripensando la suddivisione degli spazi per riunire i dipendenti in gruppi di lavoro organici e funzionali alle diverse attività di competenza.
Materiali e arredi
In contemporanea all’evoluzione degli spazi di lavoro dei dipendenti, si evolvono anche gli spazi di rappresentanza dove si cominciò a porre particolare attenzione al design di interni con la scelta di materiali di pregio, arredi progettato su misura al fine di comunicare i valori e il prestigio dell’azienda ai visitatori.
Per quanto riguarda i materiali troviamo qui un altro elemento cardine della progettazione degli uffici del ventesimo secolo: il metallo. Al fine di proteggere l’enorme mole di documenti cartacei prodotta giornalmente da possibili incendi, la costruzione degli edifici venne ripensata favorendo la diffusione del metallo come elemento principale.
Attorno agli anni ‘40 si cominciò a pensare ad uno sviluppo degli ambienti volto a migliorare il comfort dei dipendenti in quanto venne dimostrato che proprio il comfort era uno degli elementi in grado di influenzare la produttività dei singoli. L’attenzione si focalizzò più sugli oggetti portando alla progettazione di scrivanie e sedie per la prima volta orientate al concetto di ergonomia. L’aumento del comfort era funzionale all’aumento produttivo e su questo assunto si diffusero sempre di più elementi comodi ma anche aggiustabili e personalizzabili (si pensi alle prime sedie con schienali regolabili).
La nascita dei divisori e dei Cubes
Alla fine degli anni ’60 l’architettura tecnica per interni prese una nuova direzione a favore della privacy e della creazione di spazi riservati per il singolo dipendente. Nascono così i primi divisori tra scrivanie in un nuovo ambiente allora chiamato Action Office che voleva favorire la comunicazione tra i dipendenti in spazi diversi dalle postazioni di lavoro creando aree destinate alle pause e alla socializzazione.
La direzione della progettazione degli spazi interni va verso i Cubes che si diffuse largamente negli anni ’80 anche grazie alla spesa ridotta che l’acquisto di pannelli in plastica comportava.
Il ritorno alla condivisione
Dagli anni ’90, con la continua crescita delle aziende Tech, si assiste ad un graduale ritorno al concetto di open space. I Cubes furono reputati poco funzionali e anti collaborativi, l’esatto contrario di ciò che serviva all’industria Tech, per sua natura agile e fluida. Negli uffici, i muri cominciarono a cadere e i divisori in plastica a sparire. Aziende come Google, Facebook, Microsoft e altri colossi del tech dispongono di uffici con metrature immense, capaci di ospitare dipendenti e visitatori in un flusso in continuo movimento, senza barriere architettoniche e divisioni.
Se con l’open space si assiste, per le grandi aziende, ad un ritorno verso una progettazione già conosciuta (migliorata sì ma non innovativa) con il nuovo millennio si assiste anche alla nascita di un concetto totalmente nuovo: il coworking.
La trasformazione degli spazi che avviene sotto i nostri occhi anno dopo anno è segnata dall’evoluzione dei flussi di lavoro e dalla necessità di trovare un luogo che riunisca il sempre maggior numero di freelance che si muovono nelle grandi metropoli. Il coworking, nei suoi spazi aperti e moderni, riunisce expertise e know how di professionisti di settori diversi, creando uno spazio di aggregazione e condivisione.
Da questo nuovo concept le aziende si ispirano sperimentando spazi di lavoro per i dipendenti che siano fluidi e meno circoscritti dando vita ad open space in cui non ci sono più postazioni fisse ma dove ogni giorno il dipendente può scegliere dove sedersi e lavorare.
La fluidità e l’interconnessione portate dal lavoro flessibile, possono dettare i nuovi elementi cardine della progettazione degli spazi interni dei luoghi di lavoro; negli ultimi anni le grandi multinazionali hanno scelto la contaminazione e la diversificazione degli spazi di lavoro a favore di un coworking interno all’azienda capace di accogliere dipendenti e consulenti in un unico spazio.
La domanda oggi è: cosa ci riserva il futuro della progettazione degli spazi interni agli uffici? Se dovessimo basarci sulla storia che vi abbiamo appena raccontato saremmo orientati a pensare che le imminenti adozioni di massa di innovazioni tecnologiche come 5G, realtà aumentata e virtuale trasformeranno nuovamente gli spazi di lavoro, creando nuovi paradigmi per i prossimi decenni.
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